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Il mondo salvato dai ragazzini: nuove distopie

Il mondo salvato dai ragazzini: nuove distopie

 

di Nicola Galli Laforest

 

Questo articolo è stato pubblicato sul n. 43 della rivista “Hamelin”, Visione laterale, uscito nel 2016.

 

©Annie Spratt-unsplash

©Annie Spratt-unsplash

Nello sconsolante panorama editoriale che si va configurando, nel rapido e invadente moltiplicarsi di tanta narrativa per adolescenti sempre più dozzinale, dai contenuti che puntano tutto sul conformismo, c’è da segnalare una forma nuova, forse l’unica vera novità, interessante e viva, che vale la pena evidenziare indipendentemente dagli esiti qualitativi.
L’ impressione è che non si tratti di diverse proposte sporadiche, ma di un filone autonomo che potremmo definire di fantascienza sociale.

La fantascienza, nel senso più largo del termine, non ha mai davvero attecchito in Italia: anche i grandi autori come Dick, Ballard, Bradbury, per non dire di Clarke o Sturgeon, sono arrivati tardi e hanno conquistato solo una nicchia, persino negli anni d’oro del genere. Fatta salva la fantascienza cinematografica delle astronavi esplose, dei marziani ripugnanti, dei raggi laser, insomma, di pura azione, il genere non ha mai raggiunto una vera popolarità, e quasi non ha lasciato tracce nell’editoria per ragazze e ragazzi. I pochi esperimenti tentati sono naufragati in fretta, e per ovvi motivi non sono più stati proposti. Ed è noto a chiunque lavori con i giovani che la fantascienza è tra tutti il genere più bistrattato, l’unico a non raccogliere alcun consenso e molte bocche storte.
Di recente però si è affacciato un filone di grande fascino e intelligenza, senza effetti speciali, il cui tema principale è la politica intesa nel senso più nobile: una riflessione sulla polis, in barba al senso comune che vuole le nuove generazioni disimpegnate e acritiche.

 

In realtà, la letteratura per l’infanzia ha sempre avuto una forte carica “sovversiva”, di critica sociale, violenta quanto nessun altro ambito poteva avere, in virtù del suo forzato isolamento, del suo essere piccola e laterale: ci sono più attacchi alla società ne L’isola del Tesoro, Le avventure di Huckleberry Finn, I ragazzi della via Pal, La guerra dei bottoni e via dicendo che in tanti pamphlet politici.
Nei nuovi romanzi che ho in mente, però, si piccona più in alto, perché nel frattempo ci sono stati i lager e le atomiche, le dittature che hanno trasformato gli uomini in bestie o in macchine, gli stermini di massa, l’epurazione e forse la fine dell’umanesimo; ci sono stati Un mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell, Fahrenheit 451 di Bradbury, Blade Runner e Matrix… Insomma, nell’immaginario collettivo e non solo, abbiamo distrutto il mondo, e l’umanità ha perso. Proprio questi titoli sono i riferimenti, palesi o nascosti, dei romanzi che propongono nuovi modelli di distopia, o antiutopia, ben ancorati al nostro presente.

 

A questi elementi si sono sommate anche forze e paure nuove, tensioni emotive legate ai cambiamenti della nostra epoca, a volte già evidenti a volte ancora da scoprire. La fantascienza, da questo punto di vista, si rivela uno straordinario barometro, che può farsi anche felice strumento didattico. Scriveva a tal proposito Aldo Carotenuto:

 

“La stretta relazione che la fantascienza ha instaurato tra immaginario collettivo ed evoluzione sociale, culturale e scientifica degli ultimi due secoli costituisce, al pari della mitologia dell’antica Grecia delle grandi religioni, una sorta di mappa archetipica. Taluni leitmotiv simbolici, peraltro da sempre radicati nella psiche umana, si sono via via rafforzati, mettendo in luce gli aspetti più significativi delle paure di fine millennio. Rintracciarne le linee le progressioni di sviluppo significa, in un certo qual modo, determinare il livello evolutivo della psiche collettiva contemporanea.”

 

Per esempio, sullo sfondo di queste (e di tante altre) storie dei nostri giorni, c’è sempre un Grande Burattinaio, un meccanismo di controllo totale che vede e sente tutto. Qualcuno o qualcosa (un comitato di adulti, una commissione d’esame, un’istituzione, un computer, le multinazionali…) che ha già deciso per noi e telecomanda le nostre vite; c’è un aria di complotto, di sospetto reciproco, di impossibilità di uscire dai binari stabiliti. Ci sono regolamenti rigidi e perentori, o norme non scritte ma incise nei cervelli, vuoi per buone e obbligate abitudini sociali, vuoi per condizionamenti e indottrinamenti, vuoi per vere e proprie intrusioni fisiche. C’è un pendolo continuo tra lo stato di totale ordine, quello di ogni utopia in cui ogni cosa ha il suo posto e lì deve stare, e il sentore di uno sfacelo materiale (che naturalmente ha un suo ben nascosto contraltare morale) e di una decadenza che già si è verificata e che continua, nonostante tutte le coperture, a rosicchiare spazi.

 

 

nel mondo ereditato dalle nuove generazioni si può solo essere cavie o clienti; anche la scuola e le nuvole sono marchi registrati, tutto è bene di consumo, e l’unico status permesso è quello di acquirente progettato per essere felice, persino in punto di morte

 

 

Non può essere un caso che certi elementi ritornino storie tanto diverse:

  • essere sopravvissuti a un’apocalisse che ha falciato l’umanità, causata non da errori ma dal progresso della scienza (Genesis, Brutti, Perfetti, Ember);
  • uno stato di costante crisi energetica (La battaglia d’inverno, La dichiarazione, Ember, Genesis);
  • una divisione in caste sociali stagne, e l’eliminazione o la reclusione dei diversi e dei non conformi;
  • la rimozione della memoria, collettiva e personale, anche attraverso interventi chirurgici;
  • la presenza di spazi di segregazione o zone off limits;
  • l’assenza fisica dei genitori (Brutti, Perfetti, La battaglia d’inverno, La Dichiarazione, Genesis, Ember, Feed, Lunamoonda)
  • la presenza di scuole, collegi, orfanotrofi; di luoghi gelidi e senz’anima come laboratori o catene di montaggio, o addirittura prigioni per adolescenti da rieducare;
  • un elemento nascosto ma sempre presente e fondamentale, è un senso di colpa non ben identificabile che i giovani protagonisti si portano dietro, annidato da qualche parte nel passato, come un marchio, una lettera scarlatta: un peccato dei genitori, o di qualche avo, ereditato, o commesso chissà quando e rimosso, che pesa come un macigno.

 

 

Il senso del destino

Una delle parole (e dei temi) più ricorrenti è destino. Mi sono sentito un po’ dentro una di queste distopie qualche tempo fa nello spazio “giovani adulti” di una grande libreria, trovandomi di fronte a un muro di copertine che riportavano proprio questa parola nel titolo o nel sottotitolo. Evidentemente c’è un interesse che va in quella direzione, che fa il paio con gli innumerevoli “eroi eletti” in circolazione in questi anni.
Linus Hoppe (sottotitolo: Contro il destino) è il protagonista di un interessante romanzo: arrivato alla fine della scuola, in attesa dell’esame davanti al Grande Computer che sceglierà per lui in quale “livello” dovrà passare la vita, cerca di capire ciò che nessun adulto può discutere: “Qual è il mio destino?”, si chiede. “Posso ancora modificare le cose?”.
Tutto sembra accadere come se la storia fosse già stata scritta. La domanda, qui esplicita, circola sempre nelle menti dei protagonisti, o dei lettori, di questo filone narrativo.

 

Si tratta infatti di libri che ci parlano di un mondo inscatolato, ordinato e a portata di mano come gli scaffali di un supermercato, con un mucchio di ragnatele e cose vecchie, lasciata a marcire lontano dallo sguardo. L’importante è che tutto sia visivamente accattivante. Nel mondo ereditato dalle nuove generazioni si può solo essere cavie o clienti; anche la scuola e le nuvole sono marchi registrati, tutto è bene di consumo, come nella distopia di Huxley, e l’unico status permesso è quello di acquirente progettato per essere felice, persino in ospedale, o in punto di morte: “La prima cosa che ho sentito era che non avevo credito”, ci comunica Titus appena dopo essere stato ricoverato. Come quasi tutti, vive con microchip nel cervello che gli suggerisce continuamente cosa fare, cosa comprare, e trasmette senza tregua banner pubblicitari, permettendogli di vivere a occhi chiusi, senza parlare, senza sentire emozioni, senza pensare.

 

 

nell’immaginario collettivo e non solo, abbiamo distrutto il mondo, e l’umanità ha perso. Proprio questi titoli sono i riferimenti, palesi o nascosti, dei romanzi che propongono nuovi modelli di distopia, o antiutopia, ben ancorati al nostro presente

 

 

Dunque il mondo adulto ha rubato il presente a ragazze e ragazzi, e loro si sono adattati di buon grado, hanno rinunciato al libero arbitrio in cambio di una vita semplificata, in cui l’ipocrisia è accettata come moneta di scambio nei rapporti interpersonali.
In 1984 Orwell fa torturare Winston per “crimini di pensiero”; ne Il mondo nuovo, Huxley non vede la necessità di arrivare a tanto, basta il “soma”, una droga miracolosa… In questo filone fantapolitico i destinatari delle cure sono direttamente gli adolescenti,  nel momento di passaggio: in Brutti, e nel successivo Perfetti, Westerfeld dispone che il giorno del sedicesimo compleanno ragazze e ragazzi siano  sottoposti a un intervento chirurgico capace di renderli fisicamente perfetti, avvicinando ogni corpo a un ideale estetico scelto da un’apposita commissione. Una volta eseguita l’operazione (che naturalmente cambia anche certe parti del cervello), i ragazzi e le ragazze vanno a vivere su un’isola, dove se la spassano per tutto il tempo, per sempre separati dai “brutti”.

 

In Linus Hoppe è l’esame di maturità che distribuisce i candidati nelle diverse classi sociali cui li ha assegnati il destino, in una società simile a quella della Repubblica di Platone, richiamata esplicitamente anche in Genesis (anche qui durante un esame scolastico), a sottolineare che è proprio nell’Utopia, nella perfezione, che si annida inevitabilmente la morte dell’uomo.
In Feed invece si lavora direttamente sui neonati, inserendo nel loro corpo un microchip che li guida.
Il mondo è così truccato che in diversi casi, procedendo con la lettura, scopriamo di trovarci di fronte a veri e propri esperimenti scientifici e sociali di cui ragazzi e ragazze sono vittime, o che il loro esame di maturità, l’unico rito di passaggio rimasto, non è altro che un modo per riconoscere i liberi pensatori e farli fuori.
In questa situazione che prelude naturalmente al rapido declino dell’umanità, c’è per fortuna qualcuno che alza la testa tra i giovani e si fa paladino del cambiamento.

 

Ragazze ribelli e fanciulli divini

In un intervento dal titolo Io e Orwell. Dopo l’11 Settembre, Margaret Atwood diceva:

“La maggior parte delle distopie – inclusa quella di Orwell – è stata scritta da uomini e loro punto di vista è maschile. Quando le donne vi compaiono, hanno il ruolo di automi asessuati oppure di ribelli che sfidano le regole sessuali del regime. Agiscono come tentatrici del protagonista maschile, per quanto lui gradisca questa tentazione”.

Il caso, o forse no, ha voluto contraddirla, e in quasi tutti questi romanzi la ribellione, l’accensione del pensiero, la coscienza trainante è invece femminile, una ragazza, pur rimanendo intatto lo schema che prevede per il verificarsi del risveglio l’arrivo di un esca del sesso opposto. Come dire, però, con una giovane coppia, che l’umanità può forse ripartire laddove gli adulti hanno da tempo perso il controllo sulla loro utopia, ormai avariata e corrotta, senza essersene accorti.

Queste giovani coppie hanno molto della figura archetipica, presente in tutte le mitologie e religioni, del “fanciullo divino”, il giovane mandato dal cielo per riportare speranza laddove è sparita. Di solito questa figura non ha genitori, e anche la condizione di colpa/innocenza è tipica del fanciullo divino così come il dover affrontare pericoli spropositati. L’importanza del bimbo come simbolo di nuova vita è del resto rimarcata dalla presenza fintamente secondaria, ma sempre di forte impatto, di un bambino più giovane vicino alla coppia protagonista. E ancora, per esaltare le nuove forze vitali, che vanno oltre i limiti imposti dalla coscienza, e l’imperativo etico che le spinge, è necessario che la sfida comporti un sacrificio.

 

 

Effetto Crono

Spesso si verifica un “effetto Crono”: il Grande Padre non ci sta, e fa di tutto per eliminare il pericolo. Gli adulti fanno quadrato e impediscono ai giovani di svegliarsi rinascere, e se questi ci riescono la soluzione è solo una, quella attuata dal re sotto il quale nacque il fanciullo divino Gesù. Il meccanismo corrisponde così chiaramente che in Lunamoonda, in cui si raccontano le avventure di una banda di ragazzi che si batte contro un mondo a metà tra 1984 e Matrix, con un colpo di genio Bruno Tognolini ha chiamato il programma al quale questi sono sottoposti Herode necessario.

 

E qui veniamo allo scoperto: è così necessario controllare le nascite per mantenere la propria posizione che proprio su questo si basa uno dei migliori romanzi del 2008 ascrivibile a questo filone. La Dichiarazione di Gemma Malley,  ambientato in una scuola-carcere che ospita 500 giovani, dichiarati illegali, che qui imparano a “Stare al proprio posto” e a “dare l’impressione di non esistere”.

 

 

gli intellettuali, l’arte, il pensiero, la ricchezza linguistica o estetica sono da guardare con sospetto e rimuovere; non servono a formare ma, sempre, a riprodurre come un virus esseri senz’anima né cervello

 

 

La catastrofe nasce da un grande successo della scienza medica, il più alto: si è sintetizzata una Pillola di Longevità che, se assunta ogni giorno, elimina la morte. Ma se nessuno muore, nessuno può nascere, e chi decide di prendere la pillola firma una Dichiarazione in cui rinuncia ad avere figli: una vita per una vita (la regola non si applica solo ai potenti).
Grazie ai cacciatori che snidano eventuali neonati clandestini, in circolazione ci sono così solo adulti, e qualche adolescente diventato Risorsa Utilizzabile, schiavo di qualche famiglia. Eccedenza Anna, alla soglia del passaggio per uscire dal collegio e diventare Risorsa, incontra uno strano coetaneo, apre gli occhi e insieme a lui tenta di scardinare il sistema.
L’intera trama si dipana secondo i ritmi e le tecniche tipiche del feuilleton, con istituzioni corrotte, fughe rocambolesche, sotterranei, villains sadici dal passato oscuro, e persino anelli con sigillo e misteriose voglie sulla pelle che preludono ad improbabili agnizioni: i cattivi sono padri e madri che hanno dunque imprigionato e quasi ucciso i figli.

 

Scienza e distopia

Una storia antichissima, che torna in forma nuova. In questo, e in altri casi, “l’effetto Crono” ha la sua molla nella scienza: Prometeo ha rubato il fuoco e lo ha usato prima di capirne le conseguenze, basti pensare a tutte le storie che toccano direttamente o lateralmente la clonazione o l’eugenetica (Genesis, Feed, La battaglia d’inverno, Lunamoonda…). L’uomo gioca a fare Dio e perde l’umanità, ma qui  l’obiettivo del dottor Frankenstein è ribaltato, e la scienza non serve per dare vita ma per toglierla, o renderla utile ad altri.
Infatti anche la scuola non è più un’istituzione educativa: gli intellettuali, l’arte, il pensiero, la ricchezza linguistica o estetica sono da guardare con sospetto e rimuovere; non servono a formare ma, sempre, a  riprodurre come un virus esseri senz’anima né cervello. Così come l’umanità come malattia che consuma la terra è un altro concetto sempre presente.

 

Al di là del ruolo della scienza come radice della distopia, la vera questione è prettamente politica, e ci suggerisce però un insospettabile livello di attenzione verso questi temi: la società che si va costruendo rischia, per autoriprodursi o per evitare di autodistruggersi, di rinunciare alle caratteristiche più umane. E in queste storie, tolto qualche raro esempio di adulto dissidente, che vive in clandestinità, isolato e perseguitato, sono solo i giovani a tentare lo strappo.

 

L’inizio del cambiamento è spesso annunciato da una ferita, da un incidente, da una patologia,  da un tilt del cervello, e i risvegli o gli strumenti di lotta non possono che essere tratti dai tempi in cui il mondo non era un marchio registrato: la scrittura a mano, vietata o dimenticata, il colloquio diretto, l’arte, la narrazione, il dialogo socratico, addirittura una vecchia statua di un Santo protettore, oppure semplicemente la luce naturale di una candela o l’effetto di una strizzata d’occhio servono a ricordare cosa ci rende umani, e permettere a ragazze e ragazzi di risollevare il mondo ereditato, ormai in pezzi.

 

Nicola Galli Laforest fa parte dell’associazione Hamelin, con cui si occupa di studio e divulgazione della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. Cura progetti di promozione della lettura nelle scuole secondarie di I e II grado,  scrive saggi, cataloghi e guide bibliografiche, e tiene corsi di aggiornamento per insegnanti, bibliotecarie ed educatori.