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La pubertà nella letteratura per adolescenti

La pubertà nella letteratura per adolescenti

di Nicola Galli Laforest

 

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[© Antonio Pronostico, Fulvio Risuleo, Sniff, Coconino Press – Fandango, 2019]

Il fenomeno young adults

Nel 2018 l’editoria italiana per ragazze e ragazzi ha registrato un impressionante +30%, sia nel numero di nuovi titoli che delle tirature medie, dopo una crescita costante per tutti gli anni Duemila: un vero rompicapo in un periodo di crisi economica, e considerato che il numero dei lettori continua a scendere.
Parte del fenomeno è senz’altro dovuta anche all’espansione, ad ora senza freni, dei nuovi prodotti per adolescenti, un target che in precedenza non si riusciva a conquistare, nonostante collane specifiche di buona qualità.
Un sintomo sociale da tenere in considerazione: “prima” (della mutazione?) i libri per adolescenti in Italia non li voleva nessuno, era impossibile riconoscersi per i possibili destinatari, e in biblioteca e libreria non si sapeva dove metterli. “Dopo”, sono diventati una leva formidabile che ha portato i maggiori megasellers a livello planetario, fenomeni da decine di milioni di copie, che a loro volta si sono fatti capostipiti di sottoboschi infiniti: dopo i numeri inauditi della saga di Harry Potter ci sono stati Twilight e tutti i vampiri, licantropi eccetera innamorati; Hunger Games e centinaia di romanzi distopici; gli amori tra ragazzini malati; e ora è la volta delle storie di chi non scrive professionalmente: le fanfiction lettissime online, gli insopportabili youtuber, blogger, influencer.
Va anche detto che non pochi grandi successi per “adulti” sembrano pescare stilemi e forme narrative dai libri per ragazzini, quando non vengono direttamente da lì (a dirne una, Cinquanta sfumature di grigio nasce come fanfiction di Twilight); ed è anche vero che tanti libri pensati per teenager sono letti dagli adulti. Insomma, prima nessuno si riconosceva come adolescente, oggi tutti.

 

Si inserisce qui un secondo paradosso: “adolescente” è un termine che in editoria è stato bandito, troppo farmaceutico, bloccato com’è in maniera inscindibile nel binomio “crisi adolescenziale”, e sostituito dalla dizione vincente, naturalmente in inglese, young adults: giovani e adulti, in una bolla temporale allargata in cui non si hanno più i freni oggettivi e le goffaggini dell’essere ragazzini, e non si hanno ancora le responsabilità che verranno: la pubertà è saltata a piè pari, tutti giovani ma già adulti. Uno spasso.

 

In questo contesto non possono che cambiare anche le regole del romanzo di formazione: non c’è più al centro lo scorrere del tempo, la lenta costruzione di proiezioni su chi si vuole diventare, lo sguardo verso il futuro, ma piuttosto ci sono vere detection sul passato e su verità nascoste, proprie e della famiglia, e a volte della società: non viene ridefinito un rapporto col mondo, ma con gli adulti, di cui si scoprono le magagne, le piccolezze. C’è spesso il fare i conti con la rivelazione di un non detto fondamentale, di una serie di menzogne che sono state tessute e che vanno svelate per poter sbloccare un reale accesso a sé e al mondo. Tutto è già stato, e anche le prepotenti trasformazioni del corpo sono saltate, già avvenute o non dette.

 

Naturalmente non è così in tutti i casi, ci sono autori che hanno provato ad esplorare il misterioso farsi di una nuova identità fisica, psichica e sociale, ma si tratta di mosche bianche. Tolti i titoli più pecorecci, l’attenzione al corpo e al difficilissimo farsi di un confronto con l’io e con i pari si trova forse nell’ondata di titoli che ruotano attorno all’identità di genere, che sembrano comunque una nuova declinazione in un più ampio campo di legittimazione della propria diversità.

Icone del nuovo millennio

La diversità radicale è la parola d’ordine, nei buoni libri come in quelli dozzinali: non esistono protagonisti “normali”, tutti hanno una propria anomalia che rende di fatto impossibile il reale inserimento nella società, tra i pari o nel mondo adulto. Forse la più chiara icona degli anni Duemila, il personaggio più rappresentativo (e davvero molto rappresentato), è il preadolescente con handicap o disturbi mentali lievi, soprattutto nello spettro dell’autismo, soprattutto Asperger, a partire dall’ormai antico Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (M. Haddon), poi moltiplicatosi in mille nuove storie.

Chissà che questa nuova ardua ricerca di un’identità contro tutto, e di un proprio posto nella comunità ristretta anche quando sembra impossibile, non sia anche un motore dell’invasione della sick-lit, la narrativa che superando ogni tabù si è messa a raccontare, con impressionante successo, di ragazzini con patologie gravi e invalidanti anche rispetto allo stare con gli altri, dalla deformazione craniofacciale di Wonder ai tanti giovanissimi pazienti oncologici che cercano una propria strada alle relazioni, al sesso, ai sentimenti (Colpa delle stelle; Bianca come il latte rossa come il sangue; Braccialetti rossi…).

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Ritorno dell’orfanezza

La condizione di partenza dei preadolescenti raccontati è sempre più di gran svantaggio: per esempio non solo permane, ma aumenta la sua presenza il topos dell’orfano: ce ne sono quasi più oggi, nei libri, che in Dickens. Quello che era uno specchio oggettivo della società è oggi un dato metaforico, oltre a rimanere un espediente narrativo per liberare i ragazzi, e farli crescere in santa pace.
E anzi, oggi l’orfanezza è doppia: una presenza tipica nei libri per ragazzi è diventata quella del trasloco, che porta ad uno sradicamento e ad una solitudine obbligati, e apre le possibilità ad una nuova nascita.

 

C’è poi da dire che l’orfanezza non riguarda solo l’assenza dei genitori, ma anche della società e della comunità stretta, che fa al massimo da carta da parati: e quando la società c’è, è quella totale e asfissiante delle distopie, fenomeno esclusivo degli anni Dieci. Lì il controllo è assoluto anche sulla pubertà, con l’ossessione per il rito iniziatico inteso come cerimonia sociale, che è viceversa scomparso nella realtà e in qualsiasi altra narrazione.
Dal precursore The Giver (tetralogia di Lois Lowry,) alle punte emerse dell’iceberg Hunger games e Divergent, tutto il genere regola l’ingresso del preadolescente nella comunità con momenti pubblici in cui sono gli adulti ad attribuire agli iniziandi un ruolo, senza che loro debbano fare, pensare, scegliere niente. Ma in questa fantascienza tutto è algido, mentale, non c’è corpo. Fatto salvo certo fantastico, che trova vie metaforiche decisamente interessanti per raccontare la trasformazione fisica, il corpo è un tabù.

Il tabù del corpo

Un esempio recente del nostro terrore: Hotel Grande A (Sjoerd Kuyper, 2017) è un fresco romanzo olandese giustamente molto premiato, una straripante commedia degli equivoci in cui quattro ragazzini devono gestire da soli un grande albergo isolato. Ha creato non solo divisioni, ma anche esplicite richieste di censura in tante scuole medie da parte di genitori preoccupati, se non turbati, per una scena in cui il protagonista accetta di travestirsi da ragazza per partecipare ad un concorso di bellezza, si nasconde il pisello con lo scotch, si mette tette finte.
È tra l’altro uno dei rari casi, tra quelli che toccano direttamente le trasformazioni della pubertà, di romanzo ambientato nella contemporaneità. Stranamente infatti, in epoca di presente e presente narrativo obbligato, in cui la voce del narratore deve essere una sorta di telefonata al lettore, quasi tutte le opere che sanno parlare della metamorfosi di un corpo, di un pensiero e di un agire sociale, sono calate in un’epoca passata, e con alcune costanti, probabilmente per il loro portato simbolico di passaggio.

Passati e passaggi

Sono sempre momenti di profondo cambiamento storico, reale o metaforico, per esempio nella narrativa americana gli anni della Grande Depressione o i primi anni Sessanta, per quella inglese l’ambiguità vittoriana, o i bombardamenti della Seconda Guerra. I primi anni Trenta, che sanno di fine di un mondo, col crollo delle certezze degli adulti e la povertà diffusa che spinge forzatamente all’avventura, sono scenario ideale per le storie di passaggio, basate sullo svelamento del lato oscuro della società: dal classico Il buio oltre la siepe ai tanti romanzi di Joe Lansdale che da lì pescano a piene mani (anche quando li ambienta negli anni Cinquanta), dagli orfani viaggiatori di Paper Moon (J. D. Brown; film di P. Bogdanovich) a quelli di piccole perle di oggi come L’indimenticabile estate di Abilene Tucker (C. Vanderpool) o Il ragazzo con il futuro nella valigia (C.P. Curtis), la Grande Depressione sembra terreno davvero fertile per segnare il passo della pubertà, con protagonisti immancabilmente preadolescenti.

Oppure l’anno 1900: in equilibrio franoso tra due epoche, è lo scenario di Picnic ad Hanging Rock, appena diventato miniserie tv (romanzo di J. Lindsay, 1967; film di P. Weir, 1975), ma anche del nuovo classico L’evoluzione di Calpurnia e Lo strano mondo di Calpurnia (J. Kelly). Qui la protagonista, appassionata di bestie e piante, sfugge all’identità che famiglia e comunità hanno già scelto per lei, giovane donna benestante, imbrattandosi di terra, passando le sue ore tra stagni e paludi, dandosi in segreto allo studio delle teorie di Darwin, all’indice nella sua cittadina. L’evoluzione è contemporaneamente quella delle specie, del pensiero, e di una bambina che sta diventando altro.

 

Natura selvaggia

Quasi sempre, se i giovani protagonisti hanno qualche consapevolezza di una trasformazione in atto o avvenuta, l’espediente immancabile è l’immersione nella natura selvaggia, con il mito di Robinson che torna, per esempio in Io sto nei boschi (J. Craighead George), Nelle terre selvagge (G. Paulsen), L’esploratore (K. Rundell): l’isolamento, il dimenticare i ritmi della “civiltà” e l’assenza di adulti, fanno da bozzolo per la metamorfosi, che viene avvertita e descritta.

Non a caso tornano continuamente isole e estati, come parentesi dal mondo adatte a far avvenire il mutamento: senza tornare a L’isola del tesoro, a Ciclone sulla Giamaica, a Il signore delle mosche, un po’ di attenzione agli scenari contemporanei ci fa scoprire che i migliori romanzi per preadolescenti hanno al centro le isole.
In Alla fine del mondo (G. McCaughrean) i giovani dell’età di mezzo vengono abbandonati per qualche settimana su un grande scoglio per una specie di rito di passaggio sancito dalla comunità, ma lì rimarranno, in piena metamorfosi, perché nessuno tornerà più a prenderli: uno di loro inizierà a perdere sangue dal sesso, rendendo clamoroso l’inganno in cui era stato (stata) intrappolata dalla famiglia fino a quel momento.
In L’albero delle bugie (F. Hardinge), solo arrivando su un’isola la protagonista scoprirà finalmente la montagna di menzogne del padre, sedotto da una strana pianta che pretende, in cambio di potere, continue bugie.
In Al di là del mare (L. Wolk) una ragazzina adottata alla nascita da un pescatore, arrivata ai fatidici dodici anni sente qualcosa che la richiama verso l’isola abbandonata che ha sempre visto in lontananza, e andando a scavare lì troverà tracce della storia sua e della famiglia d’origine, debitamente nascoste: in un piccolo cimitero, davanti ad una tomba vecchia quanto lei, inizierà a capire da dove viene, e forse dove vuole andare.

Fantasmi

Il vecchio cimitero, le rovine, i fossili, i fantasmi, il sovrapporsi fluido di epoche tra loro lontane, tornano come mantra nella nuova letteratura inglese per ragazze e ragazzi, ad accompagnare protagonisti non ancora adolescenti: prima di andare verso il futuro è necessario sbloccare il passato.
Uno dei romanzi più significativi da questo punto di vista è Il grande gioco di David Almond, grande esploratore di zone liminari, della fluidità tra i regni della natura e del tempo: inizia proprio con alcuni ragazzi che riemergono come spettri da cunicoli sotterranei, mentre i compaesani sono alla ricerca dei loro cadaveri. Stavano compiendo, lontano dalla comunità adulta che non ha strumenti per accoglierli, una sorta di rito iniziatico che li collega a coetanei morti generazioni prima in miniera , dopo aver trovato il proprio nome inciso su un’antica lapide che ricorda quell’evento.

I figli del re (S. Hartnett) mette in contatto dodicenni in fuga dai bombardamenti della seconda guerra mondiale con ragazzini fantasmi, facendo incrociare epoche diverse, entrambe simbolicamente di passaggio, proprio sulle rovine di un antico maniero. Lo spettro dei fratelli maggiori morti è un altro elemento ricorrente, quasi fosse lì a congelare la crescita dei protagonisti: “è come se avessi ancora l’età di quando è morto Sebastian” si ripete la protagonista di Una ragazza senza ricordi (F. Hardinge), nel suo tentativo di recuperare la memoria, che fa venire a galla il mare di bugie costruite nel tempo dai genitori. Lo stesso era successo al bambino James Barrie, che infatti creerà l’icona immortale di preadolescente bloccato, Peter Pan.

Senza stare a elencare esempi, ha senso ricordare che tante costanti erano già presenti in quello che è forse il racconto chiave della pubertà contemporanea, che è anche uno degli ultimi tentativi di mettere in scena un gruppo di pari: Il corpo di Stephen King (in Stagioni diverse, poi diventato al cinema Stand by me, di B. Reiner) mette al centro del viaggio iniziatico di quattro preadolescenti la ricerca di un coetaneo morto, il cui cadavere che giace nel bosco non è stato ancora trovato. Sul finire dell’estate che precede l’elezione di Kennedy, a svoltare è soprattutto Gordie, che guarda caso deve convivere con l’enorme vuoto del fratello maggiore morto soldato, che ha trasformato anche lui in fantasma agli occhi di mamma e papà. Il cambio di muta ha diverse tappe, e le due principali arrivano a distanza ravvicinata: all’alba, dopo una notte passata ad affrontare, pistola in mano, il turno di guardia tra i terrificanti rumori del bosco, Gordie si allontana solo, e si trova a tu per tu con una giovane daina, un segreto che rimarrà cruciale nella sua formazione; e poco dopo, con gli amici, si immerge per una sorta di battesimo in uno stagno, dal quale però riemergono coperti di  sanguisughe. Se le staccano a vicenda, ma Gordie se ne trova una, gigantesca, proprio attaccata alle palle. Una mestruazione epica, quanto soltanto quella che lo stesso King aveva già raccontato in Carrie. Dopo quel sangue che scende tra le gambe, e un pianto trattenuto, la voce che esce in un grido è quella ruvida di un uomo.

Estate

L’estate, esplicitata nel titolo del film (Stand by me. Ricordo di un’estate), è l’altro elemento quasi obbligato nei racconti sulla pubertà, spesso già protagonista dai titoli: in ordine sparso ricordo le graphic novel Shhh. L’estate in cui tutto cambia di M. Winsnes; E la chiamano estate, delle sorelle Tamaki; Our summer holiday di K. Ozaki; o i romanzi Un’estate lunga sette giorni di W. Herrndorf; L’estate in cui tutto cambiò di Penelope Lively, L’estate gigante di B. Masini; L’estate del cane bambino di M.Pistacchio e L. Toffanello… è un tempo concentrato, in cui ci si libera dagli intralci imposti dalla società, dalla famiglia, dalla scuola, dagli schemi, ci si immerge in un flusso meno controllabile, si fa più attenzione a se stessi, e al corpo: una improvvisa e provvidenziale caduta nella tana del coniglio, dove tutto ha un’altra logica.

Nuovo fantastico

L’utilizzo di un’altra logica è spesso il miglior espediente per l’accesso al corpo e ai misteri della metamorfosi puberale: il genere fantastico è quello che più mi sembra oggi consentire un intelligente attraversamento di quegli spazi, e portare con la metafora alla rottura del velo e a una prima fondativa comprensione del sé.
Le soglie magiche tra due mondi, e le icone classiche dell’orrore, sono canale privilegiato, essendo poste sempre sul limite tra due realtà teoricamente non confinanti (umano-animale, vita-morte, cultura-natura) con corpi che si trasformano improvvisamente, proprio come quelli in piena pubertà. Tante iniziazioni femminili per esempio sono raccontate in storie di streghe (dal classico La figlia della luna di M. Mahy al recente Un’estate con la strega dell’Ovest di K. Nashiki), a certificare un nuovo, enorme e misterioso potere che va accettato e fatto proprio.

Su questo difficile crinale un nome nuovo, davvero interessante, è quello di Frances Hardinge, che rinnova la tradizione del fantastico inglese: anche lei incastona la sua realtà parallela in periodi storici di transizione molto documentati, e crea nuovi mostri che sono bambine abitate da più presenze contemporaneamente, un forzato patchwork di identità in corpi goffi e sgraziati a raccontare di io frammentati, multipli, tessere di puzzle che vanno lentamente rimessi a posto per entrare in una nuova dimensione. In La voce delle ombre Makepeace ospita in sé, senza volerlo, spiriti di animali e persone morte da tempo; in Una ragazza senza ricordi Triss, che vive all’ombra di un fratello maggiore morto soldato e non ricorda più nulla, deve ricostruire il passato proprio e della famiglia. Ha continuamente fame e inizia a mangiare di tutto, a partire dalla sua bambola e dai suoi diari di bambina. Poi si accorge che il suo corpo perde pezzi: terra, rametti, foglie secche, e ad un certo punto decide di chiamare se stessa Non-Triss. Solo il continuo attraversamento di soglie, e la scoperta di indizi sulle bugie dei genitori le consentiranno una nuova nascita.

È avvenuto  il rovesciamento del romanzo di formazione tradizionale: diventare grandi non significa entrare nel mondo dei padri, ma immancabilmente scapparne, perché come in un Pinocchio capovolto a dire le bugie sono gli adulti, non i ragazzi. L’ingresso nel mondo dei grandi, che dovrebbe essere la conquista della pubertà, non è possibile, non c’è più nessuno ad accogliere.

Bisognerebbe rileggere mille volte La grande avventura (R. Westall), uno dei capolavori della letteratura per ragazzi moderna, che compie proprio adesso trent’anni: un orfano in fuga, sotto i bombardamenti della Seconda Guerra, compie un percorso a tappe tra i diversi modi di essere umani/adulti. Al termine del viaggio il cerchio sembra chiudersi, con un possibile ricongiungimento famigliare e la rinascita, ma non è così: il ragazzo è cresciuto, gli adulti no; e sono ora meschini, disgustosi, piccoli piccoli, per lui totalmente inutili.

 

 

In questo articolo parliamo di:

  • David Almond, Il grande gioco, Salani 2013
  • Christopher P. Curtis, Il ragazzo con il futuro nella valigia, Piemme 2015
  • Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Einaudi 2014
  • Frances Hardinge, L’albero delle bugie, Mondadori
  • Jacqueline Kelly, L’evoluzione di Calpurnia, Salani 2014
  • Jacqueline Kelly, Il mondo curioso di Calpurnia, Salani 2015
  • Sjoerd Kuyper, Hotel Grande A, La Nuova Frontiera 2017
  • Harper Lee, Il buio oltre la siepe, Feltrinelli 2019
  • Geraldine McCaughrean, Alla fine del mondo, Mondadori 2019
  • Gary Paulsen, Nelle terre selvagge, Piemme 2016
  • Katherine Rundell, L’esploratore, Rizzoli 2019
  • Clare Vanderpool, L’indimenticabile estate di Abilene Tucker, EDT-Giralangolo 2012
  • Lauren Wolk, Al di là del mare, Salani 2019