close
Perché vogliamo che i ragazzi leggano?

Perché vogliamo che i ragazzi leggano?

di Nicola Galli Laforest

 

 

Gli anni Duemila hanno portato una serie di fenomeni editoriali, megaseller mondiali da record, capaci di lasciare tracce pesanti nell’immaginario collettivo, e anzi di influenzarlo e direzionarlo, con numeri che non si erano ancora mai visti prima. Come ormai sempre accade, l’invasione è stata transmediale, con libri, film, videogiochi, riviste, libri sui film, libri sui libri, centinaia di siti e blog, gadget di ogni tipo. La novità è che gran parte dei titoli che hanno sbancato sono nati esplicitamente per un pubblico adolescente.

“Adolescente” però, va subito detto, è un termine sbagliato: in campo editoriale nessuno si sogna di utilizzare più questa parola, che ha ormai un alone  “farmaceutico”, legato in maniera inscindibile alla parola “crisi”. Si preferiscono oggi (come del resto raccontano i nomi delle collane specifiche), termini più cool, come teens, YA, generazione x o y e via dicendo, e la dizione ufficiale nasce dalla normalizzazione di un riuscito ossimoro: young adults.

 

“Giovani adulti” non corrisponde pienamente ad adolescenti, ma sarebbe in realtà riferibile a una fascia d’età successiva. Da un lato però è rassicurante, perché sposta l’accento dal senso di crisi a quello di stabilità e benessere – si è riconosciuti già come adulti ma con la freschezza, l’energia e la libertà tipiche dell’essere giovani. Dall’altro consente di fotografare una nuova società, un’età di mezzo esageratamente sfocata, che va dalla pubertà ai trentenni avanzati – una fetta di pubblico davvero appetitosa, come dimostrano le vendite. Come scriveva sulla rivista “Hamelin” dieci anni fa, quando si era solo all’inizio dell’ondata e non si poteva ancora prevedere il boom successivo, Francesca Lazzarato, che ha una storia editoriale ben diversa alle spalle, se l’adolescenza e un’età della vita, i “giovani adulti” sono piuttosto un target.

 

Ed è su questo target che sta convergendo l’editoria, sia quella cosiddetta per “giovani adulti”, sia quella destinata agli adulti, sulla base di un progetto che unifica le età, i gusti, i modi di pensare e le abilità, inglobando l’undicenne come il liceale e, in alcuni casi, anche “giovani adulti” un po’ meno giovani, o addirittura appassiti.
Nel frattempo, non c’è davvero più alcuna distinzione tra il lettore delle scuole medie e quello adulto. Dall’individuazione di un sottotarget specifico è stato coniato quello che sembra un nuovo genere, esageratamente prolifico, il “New Adults”, con un pubblico quasi totalmente femminile: se l’adolescenza è l’età di mezzo, questa è l’età di mezzo tra l’età di mezzo e quella adulta, almeno finché non si avvierà una nuova fascia intermedia, in un ciclo di frammentazioni che tengono tutto insieme.

 

Ad oggi, gran parte del “New Adults” è rappresentato nientemeno che da “Harmony” con protagonisti più giovani di quelli tradizionali (il campus universitario è l’ambientazione più tipica), copertine cartonate e una collocazione editoriale che sdogana ciò che è sempre passato quasi di nascosto nelle edicole, acquistato e letto con altra consapevolezza e pretese. Insomma, se fino a poco fa i libri per adolescenti non li volevano nemmeno gli adolescenti, che non ci si potevano riconoscere (non tanto nelle storie, quanto nella categoria), ora li vogliono tutti, preadolescenti e adulti, e il risultato è un mastodontico crossover per palati stranamente identici.

 

Se l’adolescenza e un’età della vita, i “giovani adulti” sono piuttosto un target

 

Si sa per esempio che il maggior successo di sempre, la saga di Harry Potter, che si aggira attorno ai 500 milioni di copie vendute, ha un pubblico diviso tra adolescenti e adulti. E, in ordine cronologico, il sentimentalismo di Moccia e dei suoi epigoni, Twilight e il nuovo gotico-rosa che da lì si e riprodotto, Hunger Games e le distopie, la sick-lit con storie di adolescenti che si amano e muoiono delle più terribili malattie, After e la prepotente cascata di fanfiction seguite, tutti scritti per teenager, dominano per mesi le classifiche generali, e influenzano le nuove produzioni per adulti.

 

Per esempio, le distopie si sono moltiplicate nell’editoria per adolescenti ben prima di approdare agli adulti. Da una fanfiction, un fenomeno in cui si rompe la distanza tra autore e lettore, sviluppatasi dalla passione per Twilight, dunque una saga per adolescenti, ha preso vita l’altro super evento dei nostri anni, che con i ragazzi non dovrebbe avere nulla a che fare, la trilogia soft porno delle Cinquanta sfumature di E.L. James. In pochi mesi di vita questi titoli hanno surclassato il totale dei bestseller dei decenni precedenti. Ma quel che qui più ci interessa e che pone un interrogativo è che fino a pochi anni fa questo settore sembrava un fallimento senza futuro, e i destinatari non riuscivano nemmeno a essere considerati un target di mercato.

 

Deve davvero esistere una narrativa specifica anche per adolescenti? E cos’è, com’è, e quali sono le caratteristiche principali, le costanti di un buon libro per adolescenti?

 

I vari tentativi che nel nostro Paese sono naufragati nonostante la qualità delle proposte, ora, a dispetto di un livello medio piuttosto scarso, sono il settore trainante del mercato. Come mai, nel giro di un solo decennio, tutto è cambiato fino a questo punto? Più navigati gli editori, e più raffinate le tecniche di marketing? Un clamoroso mutamento sociale e antropologico? È stata trovata la regola aurea per fabbricare i libri che si desiderano a una certa età? È cambiata l’idea stessa di letteratura e lettura? Sono cambiati i lettori e le lettrici?

 

In Italia, già a metà anni Settanta, si tentano le prime collane per adolescenti, progettate e curate da nomi illustri: Natalia Ginzburg su invito di Rosellina Archinto, sempre in anticipo su tutti, dava forma alla collana “I Pomeriggi” per Emme Edizioni (1974), “destinata ai giovani tra i 14 e i 17 anni”, con una selezione di racconti lunghi di autori classici (Maupassant, Stevenson, Gogol, Fitzgerald…), cui aggiunse qualche chicca contemporanea, su tutti La guerra dei cioccolatini di Robert Cormier, negli USA molto premiato e molto censurato nelle biblioteche.

 

L’anno dopo, Giulio Bollati seguiva per Einaudi la “Biblioteca Giovani”, costruita come una sorta di storia del mondo attraverso cinquanta racconti, da Erodoto a Shakespeare a Calvino.

 

A tentare il cambio di passo però furono nel 1977 Carmen D’Andrea e Francesco Meotto con i cinquanta titoli della “Nuovi Adulti” per la SEI, con romanzi di autori classici e contemporanei, e soprattutto la “Biblioteca Giovani” degli Editori Riuniti (1977) curata da Marcello Argilli, che metteva insieme nuovi titoli con una inedita aderenza alla realtà e alla militanza, ai problemi sociali, alla storia, alla cronaca, con manuali, testimonianze, racconti-documenti (il n.1 della collana e un’inchiesta sul carcere minorile, il secondo un romanzo sulle droghe che anticipa il caso clamoroso di Christiane F.), alternati a romanzi di pionieri del settore, come Paul Zindel, sempre con postfazioni d’eccezione (De Mauro, Mafai, Pertini, Lombardo Radice…).

 

Colpisce, in tutti questi casi, la sobrietà della veste grafica e delle copertine, mai ammiccanti, davvero un altro universo rispetto a quelle sfacciate (e spesso brutte) di oggi.

 

Una volta aperta la porta al nuovo, pur con tanti anni di ritardo su altri paesi, si poterono sviluppare altre esperienze, e quattro sono quelle che rimangono riferimenti imprescindibili per quello che verrà:

 

  • “Ex Libris” di EL (1988) faceva leva su collegamenti incongrui, e per questo deflagranti, tra romanzi tipicamente adolescenziali e problematiche universali come le droghe, il nucleare, il divorzio, le violenze;
  • “Le Linci” Salani (1989), con grande attenzione al migliore fantastico, compresi tanti titoli coraggiosi dei grandi della fantascienza alternati a romanzi di formazione;
  • “Supertrend” di Mondadori (1993), con Francesca Lazzarato e Margherita Forestan che sceglievano romanzi di alta qualità ancora sconosciuti, in cui i “temi” erano solo dettagli all’interno di storie travolgenti;
  • “Frontiere” di EL, con l’instancabile regia di Orietta Fatucci (1994), in cui spesso i temi erano invece centrali, perché obiettivo era anche rispondere al nuovo bisogno di verità e testimonianze, senza omettere i tabù (sessualità, violenze, anoressia, malattia, morte, depressione), ma sempre sostenuti da storie convincenti e ottimi autori (la collana è aperta da Un amico per sempre di Aidan Chambers).

 

Ma queste prime collane non sono mai state davvero premiate dalle vendite, e meno ancora dalla comunicazione. Non si sapeva nemmeno dove collocarle, né in libreria né in biblioteca, e il pubblico potenziale non ci si è mai riconosciuto, né forse avrebbe potuto. Oggi l’effetto riconoscimento è invece cosi totale da aver trascinato, mentre tutti siamo convinti che la lettura sia morta, un clamoroso incremento di vendite.

 

Questa esplosione, l’evidente abbassamento della qualità media e l’omologazione nei temi e nelle forme (sempre più solo in prima persona al presente narrativo, come una telefonata del protagonista al lettore), la dittatura delle fanfiction che ci aspetta, in generale l’iperproduzione del settore, non possono che riportare al centro vecchie domande: deve davvero esistere una narrativa specifica anche per adolescenti?

 

 

E cos’è, com’è, e quali sono le caratteristiche principali, le costanti di un buon libro per adolescenti? Quanti e quali autori lo sanno fare davvero, senza un linguaggio che tradisce un tentativo fallito e ridicolo di mimesi?

 

Non è forse meglio mandare lo sguardo più in là, verso la grande letteratura, senza distinzione di età? Non basta quella? E che dire ora della intoccabile e un po’ ambigua bandiera del “piacere” della lettura?

 

In definitiva, perché vogliamo che i ragazzi leggano?