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Questo periodo di crisi globale ci spinge a farci domande scomode, profonde ed essenziali. Ci interroghiamo sul futuro, sulle cose che abbiamo perso e quelle che abbiamo ritrovato. Se risposte e previsioni possono arrivare solo dalla scienza, l’arte può invece aprire uno spazio di dialogo per fare luce su alcune delle domande che abbiamo bisogno di farci.
Double Face è uno spazio di scambio tra autori e autrici francesi e italiani che lavorano con le immagini. Un ciclo di conversazioni che chiede a illustratrici, fumettisti, esperti e scrittrici di ragionare sui nodi del presente a partire da un’immagine.
Double Face è un progetto di Hamelin Associazione Culturale, con il sostegno di Institut Français Italia
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Francesco Piraino è ricercatore all’Università Ca’ Foscari e direttore del Centro Studi di Civiltà e Spiritualità Comparate della Fondazione Giorgio Cini di Venezia; David B. è uno dei più importanti fumettisti europei contemporanei. I due si sono incontrati grazie a Invisible Lines, un progetto, co-finanziato dal programma Europa Creativa che riunisce giovani illustratori e fumettiste da tutta Europa e, attraverso tre workshop con artisti internazionali, prova a rispondere a una domanda in apparenza paradossale: come si disegna l’invisibile? Come dare corpo alla spiritualità?
A partire dalle domande del progetto, di cui David B. ha curato l’identità visiva, è nata questa conversazione.
Ringraziamo gli autori per la loro disponibilità.
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Francesco Piraino: L’idea iniziale del progetto Invisible Lines è legata alla dimensione metafisica. Infatti, tutto è partito dalla proposta di immaginare l’invisibile come elemento metafisico, un elemento costante dell’essere umano, anche nelle cosiddette società secolarizzate (che poi così secolarizzate non sono).
Ho trovato estremamente interessante ritrovare nel fumetto e nella graphic novel la dimensione metafisica di produzione dell’invisibile, e specialmente nel lavoro di David B., in cui non sembra un semplice stratagemma narrativo ma un’esplorazione di mondi altri. Mi chiedo quanto nel tuo lavoro risuoni l’opera di Henry Corbin, famoso filosofo orientalista francese, per cui l’immagine non è solo rappresentazione, ma ha una dimensione indipendente, autonoma. Infatti il mundus imaginalis, mondo immaginale o Malakut in arabo si pone tra il mondo corporeo e quello spirituale. Non è semplicemente qualcosa di non reale, non o utopico, ma un mondo intermedio tra sensibile e metafisico, dove si manifestano angeli, spiriti, ma anche idee e desideri.
©David B. – Invisible Lines, 2020
David B.: Quello che mi ha toccato quando ho letto Ricordanze è proprio il mondo dell’immaginale. Ci sono molte descrizioni di questo mondo, del modo in cui arrivarci, delle montagne da scalare, delle città… Sembra reale. Le persone che ne parlano, scrittori, mistici, arabi e persiani hanno provato a darne un’immagine. Per un disegnatore come me è piacevole creare una figura con le parole. Ciò che mi interessa è creare un’immagine, un disegno. Rappresentare un mondo immaginale è sempre molto difficile, ecco perché sono interessato alle rappresentazioni che si trovano nei disegni alchemici o esoterici, o ai mistici – come i sufi – che provano a dare un’immagine della loro ricerca spirituale.
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FP: Quando disegni lo visiti, questo mondo immaginale?
DB: A volte sì, quando faccio un disegno che mi piace è difficile concentrarmi sempre sull’aspetto meditativo, dimenticare tutto ciò che ho intorno. Devo stare davvero sul gesto, su ciò che sto facendo, dal punto di vista materiale. Tracciare un segno con l’inchiostro a volte mi fa sentire presente sulla carta, e nello stesso momento sento il mondo che si allarga. Sento che la cosa che sto facendo diventa il mondo, essendo parte del mondo. È una cosa che ho sentito lavorando al mio graphic novel Il Grande Male: dopo averlo fatto mi sono sentito meglio. Mi sono reso conto che avevo guadagnato qualcosa, dal punto di vista del dolore che provavo per la situazione di mio fratello e della sua malattia, per ciò che aveva passato. Disegnare mi ha aiutato ad andare oltre il dolore, oltre la tristezza e i rimorsi che avevo per i momenti passati con lui.
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FP: Disegnare diventa quasi una pratica meditativa.
DB: Proprio così, è un punto che riesco a raggiungere ogni tanto, non sempre. Stamattina ho finito una pagina e mi sono reso conto che l’ho fatta un po’ così, senza pensare, perché nella meditazione non bisogna pensare. Non bisogna pensare a non pensare, ma lasciare andare i pensieri: me lo ha spiegato un maestro zen. Ho fatto una pagina e ho detto: “Non mi è venuta male!” L’ho fatta con i bimbi che urlavano dietro la porta; in questi momenti in cui siamo tutti a casa, il disegno meditativo aiuta a fare questo lavoro.
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FP: Quindi possiamo dire che David B. visita il Malakut di tanto in tanto quando disegna…
DB: Sì, certe volte. Devo dire che non ci provo, è una cosa che mi viene così. Secondo me sono cose che bisogna lasciar accadere, non si possono raggiungere con lo sforzo.
FP: Penso che sia proprio questo il punto del mondo immaginale come lo descriveva Corbin e poi tutta la filosofia islamica: non è sotto il controllo dell’individuo ma c’è un incontro, è Dio che va verso l’uomo e l’uomo che va verso Dio…
DB: Quando ne parlano dicono che il Malakut si trova oltre la montagna che sta intorno al mondo. Ma se qualcuno esce dalla città e va verso questa montagna, e prova ad attraversarla, non arriverà mai al mondo immaginale. Non è una questione di geografia fisica, ma di geografia spirituale e mentale… Questa indicazione non va presa dal punto di vista materiale, occorre andare oltre la montagna con la mente.
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FP: Credo che abbiamo già toccato il secondo punto che vorrei affrontare, cioè l’invisibile, che non è solo metafisico, ma anche fisico. Infatti, questa trascendenza tocca la vita quotidiana, l’invisibile ci tocca quotidianamente. Quello che mi è piaciuto particolarmente nella tua opera è quando parli del “Grande Male” come del non espresso, del non detto, non compreso… E quindi disegnare (l’invisibile) diventa un modo per riempire i vuoti e le mancanze di significato della vita, soprattutto nella malattia.
DB: Mi piace questa tua descrizione, è bello avere un mezzo di creazione come il disegno, in cui ritrovarsi a disegnare l’invisibile. Mi rendo conto che è una sfida e un paradosso, ma è anche qualcosa di reale. Quando ero piccolo mia nonna aveva dei piatti, in cui mangiavamo tutte le sere, con un’illustrazione sul fondo che era un piccolo enigma: c’era un paesaggio e si doveva trovare un elemento nascosto nella figura. Il gioco era finire la zuppa il più velocemente possibile per scoprire l’enigma sul fondo del piatto. C’era un personaggio o un oggetto nascosto in una forma del paesaggio, era bellissimo. Penso sempre all’invisibile, e questi disegni mi hanno fatto pensare, dopo, alle vignette alchemiche in cui tutti gli elementi sono separati e reali ma, se messi insieme, fanno una costruzione molto poetica ed enigmatica. La poesia nell’invisibile, nell’enigma e nel mistero è un elemento importante per me.
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FP: Quindi parliamo dell’invisibile come pratica, una sorta di spazio privilegiato in un mondo dove ci sono sempre più opinioni forti, sicurezze apodittiche, populismi e discorsi violenti. L’invisibile diventa uno spazio creativo di libertà dove si possono accumulare immagini diverse, saltare da un mondo all’altro. E immaginare l’invisibile, come hai detto tu, diventa una pratica di meditazione, che non porta soluzioni. Come non ha soluzione l’indagine del detective del tuo fumetto Le Mort Détective…
DB: È esattamente quello che volevo fare: una detective story in cui il detective invece di risolvere il caso, accumula misteri. Ogni tappa della sua inchiesta, e ogni personaggio che incontra, è sempre più misterioso. E quando arriva alla vignetta finale, quella in cui osserva un angelo di spalle, ha raggiunto una specie di pace. In un libro in cui si combatte, ci si spara addosso, si cade nelle trappole, il finale raggiunge una specie di tranquillità. Nell’immagine che ho disegnato per il progetto Invisible Lines c’è un richiamo all’ultima vignetta de La mort détective, le spalle di un angelo che si trovano nell’opera di Sohravardi, un sufi persiano del XII secolo e uno scrittore che mi piace molto. L’immagine dell’iniziato che vede la spalla dell’angelo che si imporpora al crepuscolo è una visione poetica di un momento di grazia: l’uomo tocca qualcosa del mondo spirituale. Trovo che la figura della spalla di un angelo possa portare a qualcosa, ci si può mettere qui e guardare l’invisibile: è un’immagine bellissima.
@David B. – Le mort detéctive, L’Association, 2019
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FP: Inoltre, da sociologo mi piace cercare di capire come si costruisce l’invisibile, quali sono le nostre categorie, gli stereotipi che nutrono la nostra immaginazione. Non metto in discussione la metafisica, che è il nostro pane quotidiano, ma è importante anche sottolineare le dimensioni sociali. Per esempio nell’ultimo libro che ho curato con Mark Sedgwick, Esoteric Transfers and Constructions. Judaism, Christianity, and Islam, ci siamo occupati delle influenze reciproche tra correnti esoteriche e mistiche ebraiche, cristiane e musulmane. Ossia di come i rituali, le poesie, le idee e le pratiche siano passate da una cultura e una religione all’altra.
L’influenza tra le diverse religioni, a volte, più che un vero e proprio scambio, frutto di un’interazione, è il frutto dell’immaginazione. Ossia ci si immagina e si inventa l’alterità religiosa. Ad esempio, mi piace un sacco questa immagine che è presente nella Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna del 1499 che abbiamo riutilizzato come copertina del nostro libro.
Questa immagine, che è una delle 170 xilografie presenti nella Hypnerotomachia, rappresenta la scelta e il dubbio che il protagonista Polifilo si trova a fronteggiare nel suo percorso iniziatico.
Polifilo si trova davanti a tre porte, tre strade: la Gloria Dei, la Gloria Mundi e quella che infine sceglie, la Mater Amoris. La strada di Polifilo quindi non è nella religione né nella gloria di questo mondo, ma nell’amore. E l’autore decide di rappresentare l’universalità di questo percorso iniziatico scrivendo in quattro lingue: latino, greco, ebraico e arabo.
È interessante questo spirito ecumenco universale, ricordo infatti che siamo alla fine del ‘400. Detto questo il mondo arabo-islamico è più immaginato che conosciuto. Come dimostrano le scritte sulle porte in arabo che sono invertite, perché probabilmente Colonna non sapeva che vanno lette nella direzione opposta rispetto alle lingue europee. Per fortuna di Colonna e di Polifilo, Mater Amoris rimane la stessa, perché è al centro.
Tutta questa prefazione per chiederti: come ti immagini l’alterità,: come ti sei costruito a livello iconografico il sufismo, ad esempio? Per chi non conosce il tema: il sufismo è quella corrente spirituale, mistica, esoterica appartenente all’islam. Quali sono gli esempi e le fonti che hai utilizzato? Dove hai trovato ispirazione?
DB: I miei genitori erano professori d’arte e avevano dei libri illustrati sulla storia dell’arte che mi piacevano molto quando ero piccolo. Erano libri degli anni ’50 e ’60. Io mi appassionavo alle immagini dei popoli antichi, come gli egiziani, gli assiri, i sumeri… C’erano anche miniature islamiche, persiane e turche – non so come, è difficile spiegare queste cose, ma mi sono sempre interessato a questo mondo, a questa parte di storia che non si studiava a scuola, forse perché avevo voglia di evadere dalla scuola. Come sempre in Occidente si studiava solo la storia dell’Europa: si cominciava con egiziani, sumeri, babilonesi e poi si passava al mondo greco, ma si rimaneva in Europa; il mondo islamico si toccava un po’ nel periodo delle crociate e basta. E io vedevo sulle carte nei libri di storia che c’era la Cina, c’erano i mongoli, gli harran, e avevo voglia di sapere cosa ci fosse là. Quindi mi sono messo a leggere da solo, come fanno i bambini.
Una cosa importante erano i viaggi di Marco Polo, il primo occidentale a fare un libro di grande successo sul suo viaggio in Oriente. C’erano libri illustrati per bambini che mostravano il mondo dell’Asia, e mi ricordo che in biblioteca prendevo sempre questi libri sui viaggi di Marco Polo perché mi piacevano un sacco. Così mi sono appassionato alle miniature persiane, e ho scoperto qualcosa della religione musulmana e del mondo dei sufi, perché ci sono molte rappresentazioni di sufi nelle miniature persiane. Io ero appassionato di questi strani personaggi, a volte vestiti con pelli di bestie e oggetti strani, o che facevano danze e sembravano ubriachi, che per un musulmano non è una cosa molto diffusa.
Mi interesso di eretici, mia madre era appassionata dei catari e si considerava una di loro. C’era stato un ritorno dell’interesse sui catari negli anni ‘70. Mi ricordo che c’era un programma televisivo che avevamo visto insieme su questo argomento e lei era appassionata. Mia madre leggeva anche i romanzi sui catari di una storica che si chiamava Zoé Oldenbourg. Anche rispetto al cristianesimo eravamo abbastanza atipici. Mia madre aveva avuto un’educazione cattolica classica, non troppo intensa perché mio nonno non credeva in Dio, era più un’abitudine, diciamo. Veniva da un piccolo paese e tutte le ragazze dovevano avere un’educazione religiosa, ma non più di quello. Come i miei genitori si interessavano di esoterismo, così io mi sono interessato al mondo dei sufi perché era una parte marginale della religione musulmana: mi interesso sempre delle cose che stanno un po’ a lato delle grandi correnti.
©David B. – Le mort detéctive, L’Association, 2019
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David B. è tra i più grandi narratori del fumetto internazionale. All’anagrafe David Beauchard, è nato a Nîmes nel 1959 e oggi vive in Italia. Dopo una gavetta come sceneggiatore e disegnatore per alcune riviste, nel 1990 fonda la casa editrice L’Association, che rivoluziona l’estetica del fumetto contemporaneo francese. Il suo graphic novel più conosciuto è Il grande male (Coconino Press, 2016), vincitore del premio per la miglior sceneggiatura al Festival d’Angoulême. Tra i suoi libri pubblicati in Italia: Babel, Les incidents de la nuit, Diario italiano, Il cavallo pallido (tutti per Coconino Press), Hasib e la regina dei serpenti (Bao Publishing).
Francesco Piraino è dottore di ricerca in Sociologia alla Scuola Normale Superiore in cotutela con l’EHESS di Parigi. Si occupa di islam e spiritualità nel mondo contemporaneo. Lavora come ricercatore e professore a contratto all’Università Ca’ Foscari di Venezia e dirige dal 2017 il Centro di Civiltà e Spiritualità Comparate della Fondazione Giorgio Cini.
Invisible Lines è un progetto sviluppato dalla Fondazione Giorgio Cini, in partnership con Central Vapeur, Hamelin Associazione Culturale e Baobab&Gplusg s.r.o., e co-finanziato da Creative Europe Programme of the European Union.
Bibliografia
David B., Il grande male, Coconino Press, 2016
David B., Le mort detéctive, L’Association, 2019
Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Antenore, 1980
Henry Corbin, Suhrawardi. L’uomo e l’opera, Luni Editrici, 2017
Francesco Piraino, Mark Sedgwick, Esoteric Transfers and Constructions. Judaism, Christianity, and Islam, Palgrave McMillan, 2020