di Simone Piccinini
Scrittore francese molto prolifico, ha al suo attivo una ventina di titoli per ragazze e ragazzi, e bambini. In Italia sono stati pubblicati Il bambino oceano (Rizzoli, 2009) e L’uomo senza un orecchio (Il Castoro, 2004) per i più piccoli, e La battaglia d’inverno(Fabbri, 2007) e Terrestre (Rizzoli, 2012) per adolescenti. Purtroppo però, ad oggi, in catalogo si possono trovare soltanto Terrestre e Il bambino oceano, ed è un vero peccato perché i suoi libri dovrebbero avere un posto speciale nello scaffale ideale per i ragazzi, e i motivi sono tanti.
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I libri di Jean-Claude Mourlevat, almeno quelli tradotti in Italia, sono caratterizzati da una forte vocazione alla denuncia sociale e politica. Sono infatti sempre costruiti sulla contrapposizione vittima/carnefice, nella quale la parte della vittima è interpretata dall’infanzia o dall’adolescenza.
Ne Il bambino oceano, una esplicita trasposizione della fiaba di Pollicino, Yann cerca di portare in salvo i fratelli da genitori bestiali, tentando una fuga rocambolesca che si conclude con l’incontro dell’orco: un politico sadico che li rinchiude senza cibo, acqua e riscaldamento nella sua villa al mare in pienno inverno.
In Terrestre, riscrittura di Barbablù, Anna Collodi cerca di rintracciare la sorella maggiore che è stata rapita e fatta schiava da un uomo potentissimo in un mondo parallelo. Anche in questo caso il vertice, il potere, è in mano a uomini senza umanità.
In La battaglia d’inverno, Helen e Milena evadono da un orfanotrofio-carcere per combattere la Falange, una dittatura che ha sterminato tutti i ribelli e rinchiuso i loro figli.
Che siano bambine, bambini o adolescenti, i protagonisti delle sue storie hanno un dono, e grazie a questo potere tentano di ristabilire l’equilibrio etico in un mondo allo sfacelo. Lo scontro purtroppo non è solo generazionale, è totale.
Infatti, sulla scena in cui agiscono non vi è semplicemente la contrapposizione genitori/figli, ma si percepisce chiaramente come il male sia diffuso e invasivo.
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Quando la speranza è perduta, c’è bisogno di una forza che sia in grado di rianimarla, di rivitalizzarla. L’energia del “Puer Aeternus”, che James Hillman ci ha raccontato nel suo saggio omonimo, può compiere questo miracolo. Consapevolmente, perché è chiaro che maneggia alla perfezione meccanismi e topoi narrativi del fiabesco, l’autore mette in scena lo schema classico della fiaba e procura, grazie all’impresa dei suoi eroi, nuova linfa vitale per il mondo.
Yann possiede un’intelligenza superiore, che sopperisce ai suoi limiti fisici, e in virtù di questa capacità conduce i fratelli verso gli spazi sconfinati del possibile, rappresentati dall’orizzonte infinito dell’oceano, dopo averli tolti dalla dimensione claustrofobica di una casa sporca, disadorna, dove si soffre la fame, si prendono le botte e i genitori disapprovano qualsiasi sviluppo dell’intelligenza umana: non a caso il padre di Yann getta con grande piacere la cartella del figlio nel pozzo.
Milena, figlia inconsapevole di una grande cantante lirica, con la sua meravigliosa voce rianima lo spirito spezzato e svilito del popolo, guidandolo alla riscossa.
Anna invece ha il potere di vedere quello che i comuni mortali non vedono, ha la forza dell’immaginazione, sa pensare un mondo che non c’è, e proprio per questo riesce a percepire quello, altro, in cui hanno deportato la sorella. Quando Etienne, il vecchio scrittore che l’aiuta nell’impresa, chiede informazioni su di lei alla nipotina coetanea e compagna di scuola, questa la descrive così: “Aveva sempre la testa tra le nuvole. Avrebbe potuto essere la prima della classe se avesse voluto, e in scioltezza, era davvero intelligente ma non seguiva. Sognava”.
E non è un caso che il sodale di Anna sia uno scrittore, uno che di lavoro usa la fantasia: “Mi sembra che quest’uomo abbia la capacità di capirmi. Forse fa parte di quelli per cui ‘il mondo non è abbastanza”.
Ognuno dei protagonisti ha una dote eccezionale, grazie alla quale può trascendere e trasformare il reale, farlo cambiare di segno, da negativo a positivo, e questo potere oltre ad essere affidato a ragazze e ragazzi, ha a che fare con l’irrazionale, con la parte più profonda e meno controllabile delle persone. Quelle corde che solo l’adolescenza, la sua natura medianica, può attivare.
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Lo stare tra due mondi, quello irrazionale, istintivo e magmatico dell’infanzia e quello razionale, controllato e definito dell’età adulta, può qualche volta fornire un vantaggio. Nello specifico, avere la chiara percezione di come non si vuole diventare (come gli adulti) e avere ancora qualche strumento, per esempio l’intuizione, l’istinto, per non farsi fregare dalla loro retorica.
Detta in questo modo sembra che l’autore semplifichi e divida il mondo, in modo manicheo, tra “giovani buoni” e “adulti cattivi”, ma non è così: se il male è sempre rappresentato dagli adulti e dagli e dalle adolescenti sono la controparte, è anche vero che ci sono alcune figure di adulti che hanno ancora qualche antenna accesa, una sensibilità particolare che li mette in contatto con il mondo dell’infanzia, dell’immaginazione e la sua magia.
E forse è proprio questo il monito segreto dei suoi libri: ascoltate l’infanzia, il bambino o la bambina che c’è in ognuno di voi, è l’unica forza che può cambiare voi stessi e il mondo.
Questo articolo è stato pubblicato sul n. 41 della rivista “Hamelin”, Dove vanno le anatre d’inverno. Grandi scrittori per giovani adulti